“L’ARTISTA CI FA OSSERVARE, CON I SUOI OCCHI, UN ALTRO MONDO.”

A. Schopenhauer

 

Tra le diverse frasi da scegliere, questa è stata una delle prime che ho scartato: “Troppo banale…”, pensavo. Quando, poi, vi ho riposto attenzione una seconda volta, mi sono accorta che questa breve affermazione è molto più discutibile di quanto si possa pensare. Definendola discutibile, intendo, in senso letterale, da discutere, senza nessun presupposto di arrivare, attraverso la discussione, a negarla. Definire un artista è un modo indiretto di definire l’arte: è come prendere un sentiero, piuttosto che la strada principale, per arrivare alla medesima meta; con il sentiero s’impiega più tempo, ma si capiscono, sicuramente, molte più cose del luogo in cui ci si trova. Diciamo, quindi, che Schopenhauer ha definito l’arte in dodici parole (complimenti!).

In primo luogo ci dice che l’artista ci fa osservare, ed io sono pienamente d’accordo con lui. Secondo me, infatti, l’artista è colui che riesce a penetrare nel profondo di ciò che lo circonda, colui che mette in funzione la sua intensa passione, cioè un’acutissima facoltà mentale che crea un contatto tra razionalità ed emozioni, arrivando a comprendere il vero significato di un aspetto della realtà. Una volta giunto a tale risultato, la sua felicità è tanto grande che l’impulso naturale di condividere con gli altri la propria soddisfazione, lo porta a cercare una via di comunicazione. Sempre grazie alla passione, non solo trasmette il suo pensiero, ma coinvolge totalmente chi lo ha ‘ascoltato’: infatti ogni volta che siamo di fronte ad un’opera d’arte, anche se non la condividiamo, anche se non siamo d’accordo sulla visione del reale di quel determinato artista (insomma, se non ci piace), siamo inevitabilmente scossi, emozionati. Se, invece, ci piace e la nostra partecipazione è intensa, piena, l'artista ha raggiunto il suo obiettivo, in quanto ha portato il messaggio, ed a noi tutto questo non porta altro che vantaggio: abbiamo in mano gli occhiali con le lenti giuste per mettere a fuoco uno dei tanti volti della realtà. Non vorrei, però, dire che l’artista è un ‘oculista’; lo definirei più un traduttore: ha capito l’ingranaggio che lega ciò che si percepisce e ciò che è.

L’arte esiste praticamente da sempre, o almeno fin da quando l’uomo ha memoria di se stesso, perciò, praticamente da sempre esistono gli artisti. Spesso le loro visioni si sono rivelate contrastanti: nessuna vera oppure falsa, solo diverse. Niente di strano: se due artisti osservano una stessa cosa, possono avvertire due diversi significati di essa; avremo, quindi, due diverse opere d’arte, cioè una medesima cosa osservata con occhi diversi, compresa e trasmessa attraverso due passioni diverse. Qualcuno potrebbe, a questo punto ribattere: “Ma se così fosse, da quante realtà saremmo circondati?”. Non facile trovare una risposta. Non credo di poter affermare né l’unità, né la molteplicità del reale (questo comporterebbe dare una definizione di ciò che esiste e non mi sento in grado di affrontare un problema metafisico di tale calibro); però, sicuramente, posso dire di credere nella molteplicità delle interpretazioni: ogni artista ha la sua interpretazione, la sua chiave d’accesso al reale, i suoi occhiali.

E noi ci affidiamo alla vista di questo maestro, serviti e riveriti nella nostra iniziale cecità, liberi di lasciarci coinvolgere da questa o da quell’interpretazione, senza dover restare fedeli ad un determinato artista: egli, infatti, deve essere capace di condividere i suoi seguaci con altri artisti (…mica è un dio in terra…), come fossero colleghi di lavoro. Un lavoro che svolgono, prima di tutto, per loro stessi e poi per noi: ci forniscono l’opportunità di scegliere l’interpretazione che più ci fa stare bene, o, comunque, quella che riteniamo più vera; possiamo scegliere, senza restrizioni, il nostro mondo, che, sia esso bello oppure brutto, è il frutto delle nostre decisioni. 

 

ELEONORA ANTICHI,  II C