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“CIASCUNO
E’ UN ALTRO E NESSUNO E’ SE STESSO” M. Heidegger Ovvero, l’identificazione. Ma con che cosa?
E soprattutto: perché? Perché non riconoscere il dualismo: essere oggettivo in
quanto tale, da un lato; essere del proprio io, non suscettibile che
dall’interna espansione di un’individuale crescita conoscibile,
dall’altro? I ruoli si mischiano, si rimuovono nella mancata o, non a livello
cosciente, consapevolezza del sé. Nessuno mi chiese da dove venivo e dove
andavo e neppure io avrei saputo dirlo. Prigioniero di me stesso e
dell’“io” oppresso creatomi dagli altri, cerco la libertà nella mente, in
un interscambio immateriale e continuo di essenze. Così, lungo il filo dello
spirito riconosciuto all’interno del pensiero intuitivo, divento ALTRO;
coesistendo in una comunione segreta tra l’uguale ed il diverso, tra il
particolare e l’universale. Chi sono? Sono quello che è già stato, sono
quello che è (adesso), o forse ancora quello che deve venire? E se ora, come
essere individuale io non esisto, forse, esisto in un altro che non esiste in
me? O non è il mio dubbio, l’unica sola cosa reale, nel divenire continuo di
un sogno? L mia vita è tutta racchiusa in un cerchio universale, di cui non so
i confini e dentro il quale il mio stesso esistere è infinito. Prigioniero
della verità, vi giro intorno senza limiti, nella gabbia dorata dei pensieri e
di un “io” scisso ed incredulo. Se il mio è un corpo-marionetta, non
conosco chi comanda i fili ostinatamente, elaboro pensieri nella ricostruzione
continua di me stesso. Chi sono, dunque? Chi è il mio “io” dissociato?
Forse anche l’umile, evanescente, eternamente mobile goccia d’acqua? Vedo,
sento, parlo, cammino, ma i miei occhi, le mie orecchie, le mie mani ed il mio
cuore si fondono continuamente tra di loro e con altro. In questa fusione
incomprensibile, la sola realtà reale è che io non vivo ma il mio tempo vive
per me, e se io sono altro, sono anche una sua cosa. Aspettando, paziente, il
risveglio del mio “io” e ricercandomi ogni volta al centro della mia
esperienza, mi espando in modo centrifugo verso gli altri, come spirale aperta
sull’esterno: sono una cosa senza memoria nel corso indecifrabile delle cose,
e il volto sacro del mio tempo mi precede e mi segue procedendo al compimento
delle sue metamorfosi. Così vado, col processo naturale delle cose, e il mio
cammino nella natura è partecipe; ma non so chi sono, non so chi è il mio
“io”, non so che cosa dipenda da me o cosa sia altro. Mi riconosco come infinitesima parte di un
grandioso unico “Tutto” e quello che interpreto come materia, in ciascuno
degli esseri, so che eternamente va girando intorno alla considerazione della
possibile univocità di un esistere universale, inspiegabilmente solitario. Daria
Roselli, II C |